Cari genitori Cavanis, Provo da tempo una certa preoccupazione perché mi arrivano da più parti segnalazioni di comportamenti scorretti sui “social” usati dai nostri ragazzi.
All'apparenza non sono cose gravi, e se viste con gli occhi di un adulto potrebbero anche far sorridere. La realtà è che dovremo imparare anche noi adulti ad analizzare alcuni episodi con gli occhi di un adolescente che cresce tra tanti dubbi e angosce e che ancora non ha sviluppato una personalità forte, sicura e autoironica. La scuola non può controllare direttamente i profili degli studenti, anche se rimane sempre attenta, vigile e interviene tempestivamente appena viene a conoscenza di problematiche inerenti ai social media. Spesso però, purtroppo, anche la tempestività degli interventi non basta a risolvere i problemi quando sono di natura psicologica. Se un giovane dice “stupido” ad un compagno e mostra un bel sorriso, il compagno capisce subito che si tratta di uno scherzo; ma se quella stessa parola viene messa in una chat di gruppo (es. whatsapp), in un mondo virtuale, magari accompagnata da tanti “mi piace”, qualche ragazzo più fragile e con poca autostima può pensare di essere davvero stupido e provare, nel tempo, un forte disagio psicologico… Il bullo è colui che sa individuare questa debolezza … e prova piacere ad infierire. Come sapete, proprio questa settimana si è tenuta al Cavanis una conferenza sui rischi della “rete”; la scarsa partecipazione di genitori (e studenti) mi fa riflettere sul fatto che forse non siamo a conoscenza dei veri rischi del fenomeno. La rete resta una grande risorsa e offre molte opportunità ma ha bisogno di regole. Il problema è che le regole di solito sono impartite dagli adulti, che con l’esperienza e il vissuto possono dare ai giovani i giusti consigli. Con i social e le nuove tecnologie la situazione è rovesciata rispetto alla norma perché sono i giovani, i “nativi digitali”, ad avere un’esperienza più grande degli adulti. Non ci sono formule magiche per risolvere il problema. Come diceva il prof. Carlesso nel suo intervento dell’altra sera, la cosa migliore è “tornare a fare i genitori”, riprendere in mano il ruolo di educatori e non di “amici”, dialogare senza essere noiosi, sorvegliare senza essere invadenti… Forse non tutti sappiamo che per l’iscrizione a facebook bisogna avere 13 anni, e che per chattare su whatsapp bisogna aver compiuto 16 anni… e la responsabilità, in caso di utilizzo inappropriato, ricade sui genitori. Chi è vittima di cyberbullismo tende a nascondere il problema, ad isolarsi; si nega agli amici, non ascolta i genitori e gli educatori, abbandona la motivazione per lo studio… rischia di smarrire il senso della vita… Dialogare, chiedere il permesso di controllare le chat, o farsi aggiungere ai gruppi potrebbe aiutarci a far crescere serenamente i nostri ragazzi. Un cordiale saluto e un abbraccio ai miei studenti.