Sono rimasto molto colpito dalla lettura dell'ultimo saggio di Zygmunt Bauman (Per tutti i gusti. La cultura nell'età dei consumi, Laterza), inventore della
«società liquida» e giustamente considerato il più grande sociologo contemporaneo. A 91 anni Bauman, mostrando una straordinaria capacità di analisi dei fenomeni anche più recenti, mette al centro della sua indagine la cultura. E scopre che oggi, nelle società dell'Occidente avanzato, la "missione" della cultura e dei cosiddetti intellettuali è radicalmente cambiata. Senza che ne comprendessimo fino in fondo le conseguenze. «Il nome cultura – scrive Bauman – venne assegnato a una missione di proselitismo progettata e intrapresa nella forma di tentativi di educare le masse e di raffinarne i costumi, facendo così progredire la società e facendo avanzare il popolo». Nell'accezione classica, e per molti secoli fino almeno all'Illuminismo, la cultura ha avuto un ruolo elitario di guida verso le sorti magnifiche e progressive dello sviluppo. Nei secoli più recenti ha assunto una funzione ugualmente elitaria ma in direzione diversa, di conservazione del potere e dello status quo di fronte all'irrompere della democrazia di massa. Oggi, invece, ruolo e immagine della cultura non assomigliano neanche lontanamente a tutto questo. Perché «la cultura si presenta – secondo Bauman – come un magazzino di beni concepiti per il consumo, tutti in competizione per accaparrarsi l'attenzione insopportabilmente fugace e distratta dei potenziali clienti». In sostanza la cultura odierna ha perso ogni funzione verticale di indirizzo, di insegnamento e di stimolo essendo "scesa" nell'agone del consumismo, dove si confronta orizzontalmente e con le stesse logiche degli altri prodotti. È una cultura "liquida" come la società nella quale è inserita e caratterizzata da un surplus di offerta, che quindi ha perso ogni caratteristica elitaria.
Se questa ricostruzione è vera – e a mio avviso, lo è – porta con sé un quesito fondamentale: che fine hanno fatto gli intellettuali? Esistono ancora e sono in grado di gettare la luce nelle tenebre della miopia collettiva, oppure hanno abdicato anch'essi a qualsiasi ruolo di guida della società per abbracciare un ruolo diverso? Temo sia vera la seconda ipotesi: se la cultura è un prodotto buono per gli scaffali di un grande magazzino, il loro ruolo diventa soprattutto quello di "seduttori" dei consumatori (di cultura) e di generatori di nuovi bisogni di consumo. Ciò vuol dire che il ruolo sociale degli intellettuali è finito per sempre? Difficile emettere una sentenza definitiva, anche se molti indizi lo farebbero pensare.