Scrivere a casa dal Collegio Canova di Possagno? Non è uno dei nostri radi convittori di oggi! E' un soldato della Repubblica Sociale italiana che sta facendo il servizio militare presso il nostro Collegio
(le scuole medie di oggi, perché il fabbricato del liceo non era ancora costruito) nel luglio 1944, drammatica estate di guerra civile italiana. La nostra scuola era stata chiusa, le aule scolastiche trasformate in uffici ministeriali del nuovo Stato (la RSI, Repubblica Sociale Italiana, appunto) fondato da Benito Mussolini con l'alleanza determinante della Germania hitleriana. Il giovane soldato si chiamava Pesce Bartolomeo, residente a Brescia. I partigiani stavano sulle montagne dell'Archeson e del Palon al comando del maggiore Pierotti, Di notte spesso scendevano a valle, in paese. Il giovane soldato dice ai suoi famigliari di sperare che faccia brutto tempo così che i partigiani non avrebbero attaccato durante il suo turno di guardia. Ecco il testo della cartolina (lasciamo inalterate le eventuali scorrettezze grammaticali):
Pregiatissima Famiglia Sig. Cosimo Pesce, Via Elia Capriolo n. 56/C Brescia. Possagno, 11.7.'44- Carissimi, iersera di picchetto dalle 18 alle 22 e di guardia al cortile dalle 20.40 alle 22; stanotte ancora a riposo; ma non sarà così stassera. Qui le campane hanno suoni argentini, scampanio lieto alla festa. Difrequente il cielo s'oscura tutto; piove con raffiche violente e vento: da una parte sarebbe meglio fosse sempre, ad ogni istante, così capirete. Non ho (ricevuto) ancora nulla di voi. Scrivete! Scrivete! che abbia almeno questo conforto! E' vero che ci sono grandi interruzioni tra me e voi (si riferisce agli scontri armati tra nazifascisti e partigiani, lungo la distanza che separa Possagno da Brescia, che rendono difficile la corrispondenza postale). Pel trasferimento (il soldato ha chiesto di essere trasferito da Possagno a un luogo più vicino a casa), purtroppo nulla in vista. Sorte grama! Quando Serafini (un commilitone, forse anche lui bresciano) ritornerà (dalla licenza), mi darà vostre notizie 9 (cioè: nove, nuove!). Saluti affettuosi. Sono nelle mani di DioAffettuosissimo VostroPesce Bartolomeo, dal Collegio Canovadi Possagno (Treviso)". Straordinario documento, si diceva, perché viene da Possagno, è stato scritto nel Collegio Canova, è stato affrancato anche se Possagno era in una "zona sprovvista di francobolli" (come scrive lo stesso soldato). La cartolina è stata scritta di mattina dell'11 luglio 1944 e nello stesso giorno è partita (come testimonia il timbro apposto sopra il valore bollato di 20 centesimi della Repubblica di Salò). E' quindi viaggiata e con ogni probabilità è arrivata a destinazione nonostante la difficoltà sociale e l'incertezza politica di quel momento. Ecco qui di seguito alcuni fatti che si svolsero in Italia e nel Trevigiano in quel drammatico 1944
Il 7 aprile 1944 (era il venerdì santo), le forze alleate avevano bombardato Treviso (l'attacco provocò circa 1.000 vittime fra i civili e la distruzione di oltre l'80% del patrimonio edilizio, compresi i principali monumenti storici e artistici della città). Un grave eccidio avvenne il 10 luglio del 1944 a Padulivo, vicino a Firenze, dove quindici persone vennero uccise dalle SS che stavano facendo rifornimenti in una masseria, in rappresaglia di un SS ucciso dai partigiani. Nello Pini, un feroce partigiano, il 15 giugno 1944, a Montefiorino (Modena), trucidò 15 giovani poliziotti della Compagnia ausiliaria di Modena che avevano deciso di consegnarsi ai partigiani. A Verona, il 5 luglio 1944, aerei americani della 12th Air Force, avevano gravemente danneggiarono l’Ospedale Militare in Piazza Santo Spirito: tra le macerie, impossibilitate a muoversi, erano state trovate 5 suore delle Sorelle della Misericordia abbracciate a 45 ricoverate (di cui 11 corpi non furono mai identificati); sempre a Verona, il 13 dello stesso mese, tutto il centro storico monumentale della città venne colpito dalle esplosioni provocate dalle bombe sganciate dagli aerei dalla 15th Air Force americana: nei crolli delle case del centro storico, colpito a tappeto, trovarono la morte quasi 600 persone. Viene costituita nel luglio 1944, a Treviso, la Ventesima Brigata Nera che fu la protagonista di alcuni fra i più tragici fatti di sangue e distruzione in tutta la provincia di Treviso (fu anche infiltrata da una quinta colonna partigiana): il suo comandante Romano Munari segnalava il 26 luglio 1944: "Numerose le domande di dimissioni presentate da fascisti repubblicani, specie da quelli abitanti in piccoli centri o nelle zone dell’alto Trevigiano, i quali giornalmente rischiano la loro vita e quella delle loro famiglie senza che nessuno intervenga in loro difesa” Anche “alcuni gerarchi” tengono un atteggiamento “tiepido”. Il 27 luglio 1944, alle 9 del mattino, a Venezia, un ordigno esplosivo di notevole potenza distrusse Ca Giustiniani, sede provinciale della Guardia Nazionale Repubblicana e di diversi enti assistenziali: l'esplosivo era contenuto in una cassa che due gappisti, frammischiati con i facchini, erano riusciti a deporre insieme ad altre casse di documenti e mobili che erano parte del trasloco in atto per trasferire alcuni uffici: si contarono 17 morti, tra cui tre soldati tedeschi e due guardie repubblicane, e settanta feriti. La stessa mattina. il tribunale speciale straordinario di Venezia si riunì per giudicare alcuni partigiani catturati qualche tempo prima nella campagna di San Donà di Piave: tredici di loro vennero condannati a morte. Nel 1944, sul Massiccio del Grappa e sulla pedemontana nei versanti bassanese, trevigiano e bellunese (oltre 400 chilometri quadrati di territorio, una quindicina di comuni) avvenne forse la più grande tragedia della Resistenza italiana. Fu un disastro militare che si ripercosse negativamente su tutta l’area pedemontana, in misura tale da inibire in modo permanente le iniziative e le operazioni dei partigiani combattenti, e provocò costi umani altissimi: 300 uccisi in battaglia, 171 impiccati e fucilati nei paesi alle pendici del Massiccio e circa 400 deportati in Germania di cui solo un terzo ha fatto ritorno. A tutt’oggi è ancora difficile stabilire la verità sulla dinamica delle decisioni e dei fatti che hanno determinato l’evento, stante la difficoltà di reperire documenti d’archivio (sempreché esistenti) e di interpretare analiticamente la successione dei processi con un approccio storiografico scevro dalle passioni politiche ancora attuali. Ad inizio settembre del 1944 sul Grappa agivano quattro diverse formazioni con un totale di circa 1.000 uomini. Le formazioni erano la “Matteotti”, di orientamento socialista, la “Gramsci” di area comunista, la “Italia libera Campocroce (o val Brenta)” e la “Italia libera Archeson (o val Piave)”, entrambe di orientamento politico moderato. A queste si aggiungevano un centinaio di carabinieri costituiti in reparto autonomo ed una cinquantina di stranieri ex prigionieri di guerra (per lo più britannici, russi e jugoslavi). La frammentazione delle formazioni combattenti, con diverse visioni politiche e militari, non ha certo contribuito all’adozione di decisioni e alla conduzione di operazioni in modo unitario. L’errore determinante fu quello di avere scelto la difesa rigida ad oltranza delle postazioni partigiane, anziché aderire alla logica della guerriglia. Eppure c’erano già stati i precedenti esempi di rastrellamento sul Cansiglio e sulle Vette Feltrine. Il numero dei partigiani aumentava per il continuo accorrere di uomini dalla pianura che non intendevano rispondere alla chiamata alle armi della Repubblica Sociale: fenomeno tutt’altro che positivo perché non avevano addestramento né armamento e lo spirito che pervadeva molti di loro era solo di fuga e ricerca di protezione, ma non certo di rischiare la vita combattendo. Non è ben chiaro quanto abbia influito il comando militare alleato in Puglia, quanto quello partigiano di Padova, quanto si sia adoperato lo stesso Brietsche in funzione dell’obiettivo di impegnare il maggior numero di truppe tedesche lontano dalla linea gotica e come si fosse diffusa la notizia di un prossimo sbarco alleato nella laguna di Venezia e della necessità di evitare che le unità della Wehrmacht si attestassero sulle Prealpi. Il fatto che ne conseguì fu la decisione di presidiare militarmente il Grappa, nonostante il numero limitato di uomini effettivamente combattenti, la mancanza di armamento pesante e l’insufficiente armamento leggero dotato di scarse munizioni che avrebbero garantito solo qualche ora di fuoco. All’alba del 20 settembre 1944, preceduti da un intensa attività di artiglieria, i nazifascisti (non si conosce tuttora l’entità e la provenienza delle truppe tedesche, né tanto meno le loro perdite) scatenarono l’offensiva concentrica sul Grappa partendo da tutti i versanti del Massiccio. La maggior parte dei partigiani si sbandò, molti senza aver sparato un colpo, altri più combattivi resisterono e altri riuscirono a sganciarsi combattendo. Molti persero la vita con le armi in pugno, altri mentre fuggivano. Il 21 settembre l’esito della battaglia del Grappa fu scontato ed il comando unico decise di sciogliere le formazioni, invitando i propri uomini a guadagnare il fondovalle. Alla sera dello stesso giorno ogni forma di resistenza venne a cessare, salvo qualche nucleo isolato di partigiani che continuò a combattere. Finita la battaglia, continuarono gli eccidi perpetrati pubblicamente in modo da ammonire le genti a non ribellarsi e interi paesi, come Schievenin e Seren, vennero dati alle fiamme. Il 28 settembre 1944 le truppe nazifasciste lasciarono il Grappa, avviandosi verso il Feltrino ed il Friuli per altri rastrellamenti. Circa diecimila uomini si scagliarono dal 20 al 24 settembre contro i duemila partigiani del monte Grappa, e qui purtroppo le perdite furono gravissime. Il nemico manovro‘ per precludere ogni via di ritirata, e vi riusci’. Ben pochi furono i superstisti ed ai partigiani caduti s'aggiunsero in gran numero i civili, uccisi o deportati, mentre tutta la regione veniva sistematicamente devastata. La barbarie nazifascista culmino’ con l’impiccagione delle persone catturate sugli alberi di viale Venezia e Viale dei Martiri di Bassano del Grappa. Questa parte di storia è documentata nella “Cronaca parrocchiale” di Don Ferdinando Galzignan, parroco di Crespano del G., che sempre si adoperò, prima e dopo il rastrellamento, per mediare con le autorità fasciste al fine di risparmiare la vita e l’incarceramento ai partigiani: comportamento che, purtroppo, sfidava gli atteggiamenti ostili di altri parroci e addirittura il filofascismo di alcune gerarchie ecclesiastiche come l’allora vescovo di Padova. Solo nell’anno 1952 venne apposto un cippo, davanti alla caserma Milano, sulla cima del monte, che ricorda i caduti del Grappa della seconda guerra mondiale.